di Renato Sales
Compagnia Maresca 1928, Collez. di Domenico |
Come si racconta un genio? Un modo credibile per farlo è la mostra “Totò Genio”, che poteva essere allestita solo così come l’hanno pensata il Comune di Napoli, l’Istituto Luce, il Polo Museale della Campania – Palazzo Reale, la RAI, con il contributo di Rai Teche, la Siae e l’Archivio Centrale dello Stato rappresentando il talento sconfinato di Antonio de Curtis in tre distinte rassegne ospiti del Museo Civico di Castel Nuovo (Maschio Angioino), Palazzo Reale e il Convento di San Domenico Maggiore. Il catalogo ufficiale, realizzato da Skira, ha la prefazione di Goffredo Fofi. Solo così è stato possibile rendere omaggio al genio di Totò presentando, come “tasselli di un grande mosaico”, le sue mille implicazioni ed esplicazioni. Curata da Alessandro Nicosia, che ha coordinato anche la direzione generale del progetto, insieme a Vincenzo Mollica, e prodotta da C.O.R. (Creare Organizzare Realizzare), la rassegna ripercorre “attraverso centinaia di documenti tra fotografie, filmati, costumi di scena, locandine di film, interviste, disegni, riviste e giornali d’epoca, spezzoni cinematografici e televisivi, manoscritti personali, lettere, cimeli e materiale inedito, la vita, l’arte e la grandezza del Principe”. E così, mentre l’esposizione ospite nella Cappella Palatina del Museo Civico di Castel Nuovo celebra il rapporto tra Totò e i grandi della cultura del Novecento, nella sala Dorica di Palazzo Reale si analizza il rapporto tra il grande artista e le arti tirando fuori dal suo mitico baule costumi di scena originali, filmati e installazioni multimediali. Infine, con una lunga sequenza di 250 fotografie, allestita all'interno del Convento di San Domenico Maggiore, si descrive un Totò più “privato”, quello ritratto nei fuoriscena dei suoi film, nei momenti di vita quotidiana, nelle serate mondane e che mostrano le sue passioni, compresa quella per gli animali.
Fellini - Totò, Collez. Vincenzo Mollica |
La rassegna non si prefigge di spiegare, o investigare, le ragioni della sua genialità (infatti, s’intitola Totò Genio e non “il Genio di Totò”), ma crediamo d’interpretare lo spirito degli organizzatori leggendovi lo sforzo, riuscito, d’illustrarne il suo linguaggio scenico, quel linguaggio che nella prima parte del suo multiforme percorso artistico e umano lo ha relegato a una lettura di superficie, riservandogli un posto appartato e infruttuoso nella debordante produzione commerciale. Totò oscilla, è stato detto, su due registri compresi fra il comico e il tragico, la risata e la malinconia, lo sberleffo e lo schiaffo.
Questa sua natura doppia e irrisolta (Tra due luci, per citare una sua celebre rivista) è molto ben rappresentata da Mario Monicelli. Durante le riprese di “Totò cerca casa” racconta che di lui lo colpì “una sorta di sdoppiamento tra l'attore e il principe. Sul set recitava, era scurrile, farsesco, comico. Poi diventava il principe De Curtis e la sua fedeltà alla figura del blasonato era totale” per chiedersi “era davvero così diviso? Era una corazza che si era costruito? Non l'ho mai capito” conclude il grande regista. Non abbiamo risposte. Totò era ossessionato dall'idea che nessuno si sarebbe ricordato di lui. Diceva spesso: ”Io non sono un artista, ma solo un venditore di chiacchiere, come Petrolini che, infatti, è stato dimenticato. Un falegname vale più di noi due messi assieme, perché almeno fabbrica un armadio, una sedia, che rimangono (...) anche un lavandino rimane. Ma le chiacchiere degli attori passano”. E per questa sua ansia si adoperò in molte cose, passando dalla Commedia dell'Arte alla prosa, dal varietà al cinema, dalla poesia alla musica. “Certo, rimango sempre Totò, perché non sono io a comandare la mia faccia, ma la mia faccia a comandare me”.
Eppure, l'intera sua esistenza fu dominata dall'impossibilità di difendere un proprio volto coerente e autentico di fronte alla maschera. Questo rapporto sofferto di osmosi dell'arte con la vita lo consumò velocemente. Totò morì d’infarto a 69 anni. Per commemorarlo dignitosamente furono organizzati ben tre funerali: a Roma, a Napoli e nel Rione Sanità, il quartiere in cui era nato. Così come oggi per ricordarlo degnamente si sono rese necessarie ben tre mostre. Tre rassegne che ne celebrano la sua idea di autonomia dell'arte e dall'arte, al di là di ogni facile confusione.
Di certo, grazie all'assoluta originalità del suo linguaggio scenico ha influenzato e rinnovato lo spettacolo contemporaneo, e non solo, pur senza scavalcare il limite della centralità e insostituibilità dell’uomo: di quell'Antonio Vincenzo Stefano Clemente, nato il 15 febbraio 1898 nel Rione Sanità, in via Santa Maria Antesaecula, al secondo piano del civico 109.